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L’arte di saper lasciare andare

Updated: Dec 20, 2020




Ci sono tante cose che mi hanno insegnato a scuola, come trovare lavoro, come applicarmi al meglio, come essere efficiente e produttivo.

Soprattutto mi è stato ben sottolineato, non mollare.

Se molli, perdi. Se molli, non sei all’altezza, se molli non avrai mai niente.

Tutte cose che nella mia vita mi sono servite relativamente.

In realtà è stato più semplice ascoltare il mio “gut feeling” , la mia pancia, il mio istinto per prendere le scelte migliori.




Oggi grazie a Yoga quel che sto imparando è l’arte di lasciare andare e mollare tutto ciò che non serve.

Lasciar andare non significa perdere, sconfitta ma piuttosto arrendersi a ciò che già c’è.

Non aggrapparmi a situazioni che mi tolgono energia, diventare consapevole di cosa mi dona vitalità e gioia e semplicemente a volte non fare assolutamente nulla.

Perchè anche se giovane, tante sole le credenze che la società ha cercato di farmi entrare nella zucca.

Inconsapevolmente da ragazzo l’ultimo dei miei pensieri era la società e piuttosto giocare era lo stimolo più grande. Eppure che lo voglia o meno, eccomi in ogni caso con pregiudizi e dogmi impressi nella mia mente.

Forse pensi di esserne immune? Lo pensavo anche io e sarebbe fantastico, in realtà però, tutti ne abbiamo.


Ti sei mai detto “Io sono fatto/a cosi?” ecco questa è una credenza.

Oppure senti che vorresti tanto fare qualcosa ma un c’è un blocco che ti ferma da andare avanti. Questo “blocco” mentale è probabilmente un sentimento che hai nei tuoi confronti.

(Non sono abbastanza, non ce la posso fare, sono sfortunato/a, non merito ciò, devo soddisfare questa persona/situazione,…)


Forse ti rivedi in qualcuna di queste,...

Sembrano cose banali, pensieri che non ti infliggeresti mai in modo consapevole, ed infatti è proprio cosi.

Questi non sono pensieri che derivano dalla mia mente cosciente, piuttosto dal inconscio, quella parte della mente a cui non ho diretto accesso, ma che influenza tantissimo le mie scelte e quindi la mia vita.

Bagliori di questo stato li posso provare nel sonno, i sogni infatti non sono nient’altro che proiezioni della mia mente più profonda.


Un semplice metodo per ricredere ciò che penso.

Preso in citazione da Bayron Katie;

Noto quando qualcosa mi da fastidio, un sentimento di incertezza, rabbia,...

Lo metto per iscritto, e giro la situazione ponendomi queste semplici domande;

Domanda 1: Sono proprio sicuro/a che sia cosi?

Domanda 2: Posso sapere con assoluta certezza che sia vero?

Domanda 3: Come reagisci - cosa succede - quando credi a quel pensiero?

Domanda 4: Chi saresti senza il pensiero?

Infine giro il pensiero al contrario, in questo modo ho l’opportunità di fare esperienza dell’opposto di ciò in cui credo.


Tempo di una storia:


Un giorno giunse al villaggio un circo gigantesco. Un bambino non aveva mai visto un circo prima di allora

Il piccolo chiese ai genitori di portarlo al circo. Moriva dalla voglia di osservare i giocolieri, i pagliacci e, ovviamente, i domatori. Aveva notato che portavano con sé animali enormi e misteriosi. Una tigre, un leone, un elefante e diverse zebre. Un vero spettacolo per il ragazzino.


E così fece: si incamminò insieme ai genitori e, in fondo, vide che gli animali erano chiusi nelle gabbie. L’elefante, tuttavia, era all’aria aperta. Il ragazzo si avvicinò e vide che una delle sue zampe era legata, con un’enorme catena, a un palo che poggiava a terra. L’animale non si muoveva, giaceva lì paziente.


Colpito soprattutto dall’elefante: non era in gabbia, ma era legato. Nonostante la catena fosse grossa, si notava anche a un miglio di distanza che l’elefante avrebbe potuto disfarsene. In fine dei conti, era un animale gigantesco.

Il bambino chiese ai suoi genitori perché l’elefante era legato con delle catene. Questi gli risposero “Per impedirgli di scappare”. Per impedirgli di scappare? Avrebbe potuto scappare se lo avesse voluto. Una catena e un piccolo palo non erano di certo un ostacolo per lui. Allora, “Perché non scappa?”, chiese il ragazzo. I genitori risposero “Non scappa perché è ammaestrato”.


Il bambino comprese allora che sebbene adesso l’elefante fosse un grande l’animale, vi era stata un’epoca in cui era piccolo. Era allora che gli avevano legato una zampa a un piccolo palo. Il bambino immaginò il piccolo elefante fare di tutto per liberarsi da quella catena, ma senza successo.


Il piccolo giunse alla conclusione che l’elefante non si era accorto di essere cresciuto e di essere un animale formidabile. Il ricordo di quella feroce lotta contro una catena e un palo che non cedevano si era impresso nella sua mente. Per questo motivo, nonostante avrebbe potuto liberarsi, aveva smesso di provarci. Era più forte il ricordo dei fallimenti passati che la reale possibilità del presente.


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